La procedura di Allerta. Un aiuto o una condanna per l’impresa?

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IMPRESE SOTTO ASSEDIO

In un Paese nel quale i processi di liberalizzazione e di semplificazione sono stati gli alfieri di una azione di Governo tesa ad alleggerire il carico burocratico delle imprese non è consentita una iniziativa legislativa senza pari come quella dell‘Allerta, come avrò modo di argomentare in prosieguo, voluta dal nuovo “Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza (CCII)” di cui al D. Lgs. 14/2019 con efficacia a partire dal 14/08/2019.

Tale provvedimento, altro non rappresenta che un ulteriore elemento burocratico di criticità per le imprese in una fase delicata della loro vita, ossia il periodo transitorio di flusso di cassa negativo  (Cash Flow From Operating Activities CFO) paragonabile al più ad un malanno di stagione e non a una malattia patologica che necessita di una equipe chirurgica.

Le evidenze, in vero, ci dimostrano come le imprese, tanto le micro e medie, quanto le grandi, sono governate da imprenditori dotati -per loro stessa natura- di intuitu personae spesso (nelle prime) senza una formazione specifica laddove questa’ultima, ove ottimamente acquisita, costituisce semmai un addendum e mai l’unico elemento, in fatti, il primo elemento escluderebbe il secondo ma non viceversa, ossia vi è imprenditore di successo senza una formazione specifica dotato di intuitu personae, ma non vi è (e i casi sono tanti) imprenditore di successo con formazione specifica senza essere dotato di intuitu personae.

Per rimanere in tema di Allerta, non mancano casi aziendali nei quali le crisi di insolvenza (un tempo chiamate di illiquidità) sono rientrate autonomamente grazie alla sapiente azione perseverante dell’imprenditore senza ausilio di equipe specialistiche quali gli Organismi di Composizione della Crisi,  Revisori Legali o Creditori Qualificati. In vero, in passato si è assistito a situazioni nelle quali l‘imprenditore in difficoltà non palesava affatto lo stato di salute aziendale e tanto per non pregiudicare ulteriormente la crisi, quindi, riusciva funzionalmente a celare bene lo status di illiquidità ricorrendo talvolta a pratiche affabulatorie per ricevere dai creditori, ivi compreso le banche, fiducia e dilazioni di pagamento (oggi ristrutturazioni del debito) più di quanto non ne avesse avuta precedentemente ottenendo di tal guisa un favor tale da consentirgli il superamento delle criticità. Questa pratica (oggi procedura), in sintesi, ha dimostrato come la autonomia privata possiede un naturale grado di resilienza che non necessita di ausili taumaturgici.

Purtuttavia, occorre dire che i casi evoluti in fallimento non sono certo mancati e le cause di ciò non sono da attribuire alla mancanza di una corporate governance senza equipe capace di allertare anzitempo la crisi dell’impresa tanto è dimostrato dal dato statistico CERVED nel quale si legge che il picco dei fallimenti nei Tribunali italiani è stato registrato nel 2015 in vigenza peraltro della Legge Fallimentare post riforme. Tale periodo, si badi bene, rappresenta l’occhio del ciclone della grande crisi del 2010, basti ivi notare il periodo che precede per rendersi conto che il dato dei fallimenti delle imprese è stato………….

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Lecce-Milano, 14-04-2019

Dr. Vincenzo Crusi