IL 60% DELLE AZIENDE DI FAMIGLIA ITALIANE SONO IMPEGNATE NEL PASSAGGIO GENERAZIONALE. QUALE ISTITUTO GIURIDICO “PATTO DI FAMIGLIA” O “TRUST DI FAMIGLIA”

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Il passaggio generazionale dell’azienda di famiglia

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Il trasferimento dell’Azienda di Famiglia, inteso come passaggio della proprietà e del controllo da una generazione all’altra, rappresenta un evento importante della vita familiare e conseguentemente un evento cruciale della vita dell’azienda dal quale spesso dipende la sopravvivenza della medesima.

Gli imprenditori italiani over 60 rappresentano circa il 60% del totale universo aziende; ciò porta a ritenere che nei prossimi anni questi saranno impegnati necessariamente ad affrontare la vicenda del passaggio. Il 70% dei medesimi desidera far proseguire l’azienda di famiglia mentre la restante parte, non trascurabile, non intende cederne il comando, per tale intendendo la guida e la gestione.

Il dato preoccupante che deve far riflettere è la bassa percentuale, precipuamente il 25%, di sopravvivenza delle aziende che giungono alla seconda generazione di imprenditori con il 15% di queste, dato ancor più allarmante, che raggiunge la terza generazione. Fatto 100 quindi il totale delle aziende, 25 approdano alla seconda generazione e 3,75 alla terza.

Le cause di ciò che presiedono quindi a tali poco esilaranti risultati vanno indagate, analizzate e auspicabilmente risolte sia sotto l’aspetto socio-economico ma ancor più sotto quello giuseconomico oltre che tributario-fiscale, al fine di porvi rimedio mediante politiche di tutela e salvaguardia di queste aziende familiari, le quali, loro insieme,  rappresentano il fiore all’occhiello, ovvero il motore di sviluppo, di questo paese non a caso divenuto uno delle 5 economie più avanzate e potenti del mondo.

In considerazione di tali problematiche, la Raccomandazione della Commissione CE n. 94/1069 del 7 dicembre 1994 ha sollecitato gli Stati membri a razionalizzare le norme successorie che regolano il trasferimento delle imprese di piccole e medie dimensioni alla morte dell’imprenditore, nonché a predisporre le modalità necessarie a indurre l’imprenditore a preparare la sua successione finché è ancora in vita. Il tema è stato oggetto anche del Regolamento CE n. 70/2001 ed è stato affrontato a più riprese dal Comitato Economico Sociale Europeo, che ha fatto pressione sui Paesi membri tra l’altro per un alleggerimento della tassazione, attraverso il riesame dei regimi fiscali e la revisione delle tasse di successione che scoraggiano il processo successorio nell’impresa.

Tanto, invero, è stato frutto di recepimento dal nostro paese con la introduzione del novellato dei “Patti di famiglia per l’impresa” dopo un lungo iter parlamentare dell’istituto, iniziato con una proposta di legge del lontano 1995, fino a giungere all’approvazione delle norme che lo regolano mediante l’introduzione nel Codice Civile degli artt. da 768-bis a 768-octies.

Giova ribadire a tal proposito che non sono mancate, come non mancano, critiche a tale istituto per le quali qualcosa andrebbe fatto alla luce dell’insuccesso causato da alcune criticità come meglio cercherò di esporre nel prosieguo.

Per far sì che si realizzi un passaggio di generazione aziendale si raccomanda la ponderazione delle opzioni giuridico-fiscali per individuare il più efficace e valido strumento negoziale consentito potendolo scegliere fra due distinti istituti: uno interno, di derivazione romanistica, appunto il richiamato “Patto di famiglia per l’impresa” regolato dauna Legge n. 55 del 2006, il quale, stante la natura statica dello stesso, non consente performance entusiasmanti adeguate presentando viepiù elementi di criticità di difficili soluzione a tratti insormontabili; l’altro, esterno di derivazione anglosassone, il “Trust di famiglia per l’impresa” regolato della Legge n. 364 del 16 ottobre 1989 di ratifica della Convenzione de l’Aja del 1985 sul riconoscimento del trust, il quale, stante la sua natura dinamica e polimorfica, non presenta affatto elementi di criticità ma addirittura di solvibilità e semplicità e, contrariamente alla staticità del Patto, consente performance di indiscussa efficacia.

La comparazione dei due istituti in esame pertanto deve tenere di conto gli effetti immediati e quelli futuri, ovvero, il transito, dalla generazione over alla generazione under deve poter garantire:

  • di non generare disequilibri delle dinamiche parentali, di per se facilmente vulnerabili;
  • certezza al discendente beneficiario, cioè a colui al quale passa il testimone dell’azienda di famiglia la quale rappresenta così indefettibilmente la sua quota di eredità ora per allora;
  • di garantire ai legittimari futuri di poter ricevere la loro quota di eredità e da chi pretenderla;
  • di assicurare stabilità aziendale, certezza tributaria e fiscale.

Tuttavia, è del pari ragionevole pensare che il passaggio generazionale rapprenta un momento cruciale nella vita di una azienda ciò in quanto implica fatalmente un trauma, che definirei necessario stante la natura delle cose, per la nuova generazione la quale si troverà inevitabilmente a contatto con una realtà, quale la competenza di gestione, il patrimonio aziendale, il know-how, le pubbliche relazioni interne e territoriali, le politiche del personale tutte nel loro insieme acquisibili con la esperienza degli anni passati in azienda e giammai con una solitaria formazione didattico-accademica avulsa da una contemporanea partecipazione alle vicende gestorie, del tutto nuova o, nella migliore delle ipotesi, qualora già coinvolta, si troverà comunque ad affrontare l’impatto dell’assunzione diretta delle responsabilità aziendali che in alcuni casi può causare disequilibri di non poco conto.

Per quanto fin qui detto, appresso esamineremo più da vicino l’istituto del “Patto di famiglia per l’azienda” ex Legge n. 55 del 2006, in funzione del quale si attua il passaggio derogando al divieto dei patti successori di cui all’articolo 458 del codice civile, pur rappresentando, a parere di autorevole dottrina, un vulnus al diritto successorio di derivazione romanistica il quale non conosce e non consente limitazioni ne deroghe ai diritti dei legittimari.

Infatti, nell’ordinamento giuridico italiano, ove regna sovrano il principio dell’intangibilità della legittima, le donazioni scontano sempre il rischio della loro riduzione tramite l’apposita azione reale, che i legittimari lesi o pretermessi possono esperire nei dieci anni dalla morte del donante. In più tutte le donazioni fatte a legittimari sono soggette a collazione in sede di divisione ereditaria, potendo gli altri eredi pretendere l’imputazione del relativo valore alla quota di legittima del donatario o portare addirittura alla riconduzione del bene in natura nella massa ereditaria da dividere.

A mente di ciò, pertanto, le evidenze, ovvero il cattivo funzionamento delle sistemazioni ereditarie, e non solo, di detto istituto, in deroga, ora per allora, peraltro non ammesse (prima d’ora) dal corpus juris civilis in tema di diritto successorio, ci dimostrano la pressoché totale inutilizzabilità dello strumento pattizio.

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Il patto di famiglia per l’impresa

(Legge 55/2006)

           Il Patto di famiglia per l’impresa, disciplinato dal codice civile con i neo introdotti articoli dal 768/bis al 768/octies schematicamente si articola nel modo seguente:

  • L’imprenditore cessante trasferisce, mediante atto pubblico, senza corrispettivo alcuno, a uno o più discendenti, in tutto o in parte, l’azienda o la partecipazione sociale;
  • All’atto pubblico devono partecipare il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari se in quel momento si aprisse la successione dell’imprenditore; Criticità, cosa accade nella ipotesi nella quale un legittimario non partecipa al Patto:
    1. perderebbe il diritto?
    2. non sarebbe valido il Patto?
  • I discendenti assegnatari devono liquidare i legittimari partecipanti corrispondendo loro, o obbligandosi a corrisponderli, in denaro o in natura, il valore della quota di legittima loro spettante sull’azienda o sulla partecipazione, nel medesimo atto o in atto successivo di cui siano parte gli stessi contraenti del primo atto; Criticità, cosa accade nella ipotesi nella quale uno di questi:
  1. non è reperebile?
  2. premuore?
  3. fa mancare la presenza per ostruzionismo?
  • I legittimari non assegnatari partecipanti al patto possono rinunciare a tale liquidazione;
  • Le assegnazioni e le liquidazioni effettuate con il patto di famiglia non sono aggredibili con l’azione di riduzione, né sono soggette a collazione; Criticità, cosa accade nella ipotesi nella quale un legittimario viene a esistenza dopo la data del patto:
  1. è legittimato a esperire l’azione di riduzione?
  2. l’azienda ceduta è soggetta a collazione?
  3. il patto di famiglia è nullo?
  • Gli eventuali legittimari sopravvenuti, dopo la morte dell’imprenditore, potranno solo pretendere dai beneficiari del patto il pagamento della somma corrispondente alla loro quota di legittima, oltre agli interessi legali, ma non esperire l’azione reale di riduzione (quindi è loro riconosciuto un semplice diritto di credito);
  • Il patto può essere sciolto o modificato solo con il necessario intervento di tutti coloro che ne furono parte; Criticità, cosa accade nella ipotesi nella quale:
    1. uno di essi fosse mancato?
    2. uno di essi fosse irreperibile?
    3. uno di essi facesse ostruzionismo?
  • Il recesso è ammesso solo se espressamente previsto nel patto e solo se esercitato mediante dichiarazione recettizia certificata da notaio, il quale deve pervenire a tutti coloro che furono parte dell’originario contratto. Criticità, anche qui, cosa accade se:
    1. uno di essi fosse mancato?
    2. uno di essi fosse irreperibile?

Come di tutta evidenza, la disciplina del nuovo istituto si pone espressamente quale deroga al divieto dei patti successori previsto dall’art. 458 c.c., consentendo si una regolamentazione pattizia della successione relativa all’azienda o alle partecipazioni societarie di famiglia a favore di determinati soggetti al di fuori del testamento e delle regole della successione legittima ancorché protetta da eventuali azioni di riduzione, ma che lascia una serie di interrogativi la cui soluzione non sarebbe esaustivamente definitiva.

Tuttavia, il Patto non deroga al divieto dei patti successori istitutivi, in quanto, il trasferimento dell’azienda o della partecipazione è immediato e non rinviato alla morte dell’imprenditore, ed è effettuato secondo la consistenza che il bene ha nel momento stesso del trasferimento, a favore di beneficiari determinati. Vi è deroga però al divieto dei patti successori dispositivi e rinunciativi (con i quali un soggetto dispone di una successione non ancora aperta o rinuncia a diritti che potrebbero spettargli su una successione non ancora aperta), poiché, come vedremo, i legittimari non assegnatari partecipanti al patto, cui deve essere offerta la liquidazione della propria quota di legittima, possono accettarla oppure rinunziarvi, rendendo in ogni caso stabile e definitivo l’acquisto a favore del beneficiario del patto di famiglia. Ciò posto, nulla viene detto in ordine ai diritti dei legittimari rivelatisi dopo la stipula del patto, cosa per la quale si corre il rischio della nullità.

Tuttavia, con l’introduzione del nuovo istituto, il legislatore italiano ha compiuto certamente un passo in avanti verso la possibilità di derogare al divieto dei patti successori che regolano il passaggio generazionale nell’impresa di famiglia, soprattutto attraverso la limitazione delle azioni a tutela della legittima relativamente ai soli beni azienda e partecipazioni sociali, che vengono a costituire un sottoinsieme autonomo all’interno della massa ereditaria del pater familias, ma, non ha dotato il sistema di un efficace, sicuro e stabile istituto per tali eventi che per la loro natura presentano numerose problematiche e incertezze interpretative. Vediamone alcune:

  1. La norma si riferisce espressamente all’imprenditore in quanto tale, il che ha portato la dottrina, che si è occupata della materia, a sostenere che oggetto del patto possono essere oltre all’azienda direttamente esercitata dal pater familias, solo partecipazioni che siano espressione di un’effettiva attività imprenditoriale del titolare e che assicurino in capo allo stesso un potere di gestione.

Sono quindi escluse dal Patto di Famiglia le partecipazioni di:

  1. investimento,
  2. speculative,
  3. godimento 4.

Sono ammesse, nel Patto, le quote:

  1. di società semplici,
  2. di società in nome collettivo,
  3. di spettanza dell’accomandatario nella società in accomandita semplice (ma non quelle dell’accomandante, che per legge non può e non deve interferire nella gestione),
  4. di maggioranza di società a responsabilità limitata, o, se di minoranza, che attribuiscano diritti particolari di amministrazione trasferibili a terzi,
  5. ed infine azioni di controllo o di riferimento di società per azioni (con l’ulteriore problema dell’impossibilità per il notaio rogante di verificare la concreta ricorrenza di un’ipotesi di controllo di fatto, per cui dovrebbe affidarsi a dichiarazioni delle parti).
  1. Soggetti assegnatari possono essere soltanto i discendenti in linea retta del pater familias, anche se non legittimari nel momento in cui viene stipulato il patto (ad esempio perché ancora in vita il loro ascendente).

Sono inspiegabilmente esclusi:

  1. il coniuge;
  2. i fratelli;
  3. i nipoti in linea collaterale;
  4. altri parenti o affini, per non parlare del
  5. convivente more uxorio;

Pertanto, un imprenditore, che non abbia discendenti in linea retta, o che abbia discendenti in linea retta ma non reputati idonei allo svolgimento dell’attività d’impresa, non potrà avvalersi dell’istituto al fine di dare continuità e stabilità alla propria azienda, pur in presenza di altri soggetti a lui legati che siano in possesso di capacità imprenditoriale.

  1. Il patto di famiglia per l’impresa è un contratto al quale devono partecipare necessariamente oltre all’imprenditore e all’assegnatario, anche i legittimari “attuali” (cioè coloro che lo sarebbero se in quel momento si aprisse la successione del trasferente), per tale intendendo, anche, coloro i quali potrebbero essere in quel momento minorenni o incapaci o addirittura nascituri concepiti, con conseguente complicazione dovuta alla necessaria rappresentanza legale di tali soggetti e al necessario controllo giudiziale dell’operazione.

Secondo la migliore dottrina, la mancanza di uno dei legittimari attuali, anche se sconosciuto alla famiglia, determina la nullità dell’intero patto 5.

Non è chiaro inoltre se sia valido il patto di famiglia concluso senza la partecipazione di un legittimario attuale che, benché convocato, si sia rifiutato di prendervi parte.

La qualificazione quale contratto, quindi la previsione di legge, comporta inoltre che tutte le modifiche del patto e lo scioglimento dello stesso debbano essere convenuti con atto pubblico la cui validità è subordinata alla partecipazione di tutti coloro che ne furono parte originariamente, con evidenti problemi in caso di sopravvenuta incapacità o morte dei contraenti iniziali.

Inoltre rimane il dubbio se sia o meno richiesta la partecipazione di coloro che, pur avendo preso parte alla stipula del patto di famiglia, non siano più legittimari (ad esempio il coniuge divorziato). Razionalmente non sembra necessario un loro coinvolgimento, ma a rigore, ovvero in applicazione della disciplina generale codicistica in materia di contratto, si potrebbe sostenere il contrario.

  1. Secondo il disposto legislativo è il discendente assegnatario che deve liquidare i legittimari attuali partecipanti al contratto, con una somma pari al valore della quota di legittima loro spettante, salvo rinuncia.
  1. I legittimari sopravvenuti che non hanno partecipato al patto hanno diritto, all’apertura della successione dell’imprenditore, ad una somma che rappresenti il valore della legittima di ciascuno, oltre ad interessi, da corrispondersi da parte dei beneficiari del contratto.

La norma pone una serie di perplessità:

  1. Chi sono i legittimari sopravvenuti?
  2. Chi sono i beneficiari che devono liquidarli?

Quanto al precedente punto a., fanno parte della categoria:

  1. i figli, nati dopo la stipula del patto di famiglia;
  2. il coniuge, nella ipotesi di matrimonio posteriore al patto.

Per quanto attiene ai figli naturali ed adottivi, l’appartenenza alla categoria dipende dal tempo in cui si verificano il riconoscimento o l’adozione. Rientrano nel novero dei legittimari sopravvenuti anche i cosiddetti legittimari di secondo grado, viventi ma non legittimari alla data del patto (ad esempio ascendenti dell’imprenditore, allorché ad esso premuoiano tutti i discendenti).

Non possono essere considerati legittimari sopravvenuti coloro che lo sono divenuti per rappresentazione, in seguito a premorienza del loro dante causa, che partecipò al patto di famiglia: il patto è loro opponibile in quanto subentrano nello stesso luogo e grado del loro ascendente ai quali la legittima relativa all’oggetto del patto era già stata liquidata.

Quanto al secondo punto, vi è incertezza se debitori della liquidazione siano i soli discendenti assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni, o anche, i legittimari partecipanti ma non assegnatari.

Si pensi al seguente esempio:

  1. L’imprenditore al momento della stipula del patto è sposato e ha due figli;
  2. L’azienda di famiglia, del valore di 100, viene da lui assegnata ad un figlio;
  3. L’assegnatario provvede a liquidare alla madre e al fratello la 6somma di 25 ciascuno, corrispondenti alla rispettiva quota di legittima e ritiene per sé un valore di 50, corrispondente alla legittima e a tutta la disponibile;
  4. Alla sua morte, l’imprenditore lascia un nuovo coniuge, avendo divorziato dal primo, e i due figli;
  5. Chi è tenuto al pagamento al legittimario sopravvenuto (secondo coniuge)? :
  6. si può ipotizzare che spetti al figlio assegnatario, che ha ricevuto la disponibile;
  7. si può ipotizzare che spetti al primo coniuge, che deve abbandonare quanto ricevuto con pieno diritto al momento del patto;
  • si può ipotizzare che spetti sia al figlio assegnatario, sia al primo coniuge in parti uguali, perché entrambi hanno ricevuto di più del dovuto;
  1. si può infine ipotizzare salomonicamente che la liquidazione sia a carico di tutti i partecipanti al patto, in proporzione di quanto ricevuto (2/4 l’assegnatario, 1/4 il primo coniuge, 1/4 l’altro figlio), configurando un’obbligazione solidale, ma allora il figlio non assegnatario riceverebbe meno della legittima 7;
  2. su chi deve gravare l’eventuale insolvenza dei beneficiari?;

La norma sui diritti dei legittimari sopravvenuti porta a ritenere percorribile il Patto di Famiglia allorché l’imprenditore abbia un solo discendente in linea retta cui trasferire l’azienda o le partecipazioni possedute, anche in assenza di legittimari attuali.

Conclusioni

Come abbiamo visto, i patti di famiglia per l’impresa rappresentano un primo passo per tentare di gestire in modo più semplice rispetto al passato il passaggio generazionale nell’impresa, ma bisogna riconoscere invero che permangono una serie di dubbi interpretativi i quali non lasciano sereni gli imprenditori e conseguentemente costituiscono una incertezza insormontabile per il discendente che ha ricevuto il testimone.

Il nuovo istituto del Patto di Famiglia si limita a regolare il trasferimento della proprietà dell’azienda o della partecipazione societaria, tralasciando aspetti di fondamentale importanza quali:

  1. le relazioni future dei discendenti e legittimari sopravvenuti;
  2. le scelte relative alla leadership;
  3. all’assetto di governo dell’impresa;
  4. l’intangibilità del patrimonio azienda dalle vicissitudini dell’assegnatario;

Se i vertici aziendali non funzionano l’azienda entra in crisi e di conseguenza entra in crisi anche la proprietà.

Con l’introduzione della disciplina dei patti di famiglia per l’impresa, invero, il legislatore italiano ha dato vita ad un istituto statico incentrato totalmente sul diritto proprietario e non ad un istituto dinamico attivo, come ci si aspettava essere, trattandosi di questioni a favore del mantenimento delle aziende produttive per le quali invece occorre un semplice e sicuro strumento per il passaggio generazionale delle aziende di famiglia, che come tali sono dinamiche, performanti e attive, quindi, ancora una volta, il nostro legislatore, come in occasione della Legge n. 51 del 23 febbraio 2006, che di fatto ha introdotto nel nostro Codice Civile l’Art. 2645-ter c.c. ovvero la trascrizione dei vincoli di destinazione 9 sugli immobili, ha dato prova di una mediocre cultura giuridica volta ad una legiferazione di facciata più che di sostanza ovvero funzionale al normale, semplice e sicuro utilizzo di questi istituti giuridici.

Ancora una volta siamo di fronte ad un istituto giuridico non perfettamente funzionante il quale, nella migliore delle ipotesi, per non procurare danni, sarebbe adatto paradossalmente a imprenditori con unico discendente e senza legittimari.

Non v’è chi non veda come questo strumento, nato per facilitare e incentivare il passaggio generazionale delle imprese di famiglia, sia una trappola dalla quale i soggetti in esso coinvolti non ne verrebbero fuori indenni per le criticità qui evidenziate e per gli interrogativi qui posti, e non solo, i quali, ineludibilmente, costituiscono la spada di Damocle sul capo di tutti i partecipanti al Patto almeno fino al termine prescrizionale decennale post mortem del donante.

Pertanto, per il passaggio generazionale dell’impresa di famiglia sarebbe ragionevole quanto opportuno pensare ad un istituto dinamico, flessibile e polimorfico di diritto straniero come il Trust, regolato da una legge diversa da quella italiana, ciò in quanto il nostro ordinamento, nella sue evidenze, non soddisfa e non permette affatto di perseguire quelle finalità che il pater familias si propone nell’ottica del passaggio dell’impresa precluse completamente con i patti di famiglia.

Non solo, contrariamente al Patto, mediante l’impiego dell’istituto del trust possono essere oggetto di passaggio generazionale tutti i beni dell’imprenditore che costituiscono il patrimonio sia essi mobiliari e immobiliari, aziendali e familiari senza limitazione alcuna e in esenzione d’imposta.

 

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    Il trust di famiglia  

(Legge 364/1989)

           Il trust è un istituto giuridico di diritto anglosassone che si basa su principi di diritto comune (Common Law) al quanto dinamico e sostanziale formatosi da precedenti giurisprudenziali provenienti da plurime giurisdizioni inglesi, e non su principi di diritto civile (Civil Law) al quanto statico e formale quale il nostro di derivazione romanistica.

Dette peculiarità fanno si che il trust abbia le caratteristiche di un istituto giuridico polimorfico, flessibile e duttile, idoneo cioè ad essere utilizzato per regolare interessi più o meno complessi meritevoli di tutela legale che altrimenti non sarebbe possibile ottenere con gli strumenti giuridici interni di diritto civile attesa la staticità delle norme.

La questione che ci occupa, ovvero il passaggio generazionale dell’impresa di famiglia è l’esempio a dimostrazione della quale si manifesta l’adeguatezza del “Trust di famiglia”, d’ora innanzi Trust, rispetto al “Patto di famiglia”, d’ora innanzi Patto.

Nello specifico, differentemente dal Patto, il Trust consente all’imprenditore, d’ora innanzi Disponente, di:

  1. mantenere efficacemente, avendo ben saldo il controllo e nell’interesse generale di tutti gli eredi e legittimari di ogni momento, efficiente la gestione dell’azienda di famiglia potendo intervenire in ogni momento a mutare scelte ritenute sbagliate o inopportune e/o revocare in ogni momento l’amministratore incapace;
  1. di imprimere, secondo sue volontà, nell’atto istitutivo, le regole, le modalità, l’esercizio dei poteri, i doveri di gestione e il modo di esercitare i diritti inerenti le partecipazioni sociali;
  1. di mantenere unitaria la gestione dell’azienda familiare, ma anche del patrimonio personale differentemente dal Patto, nell’interesse esclusivo dei beneficiari ivi indicati secondo le disposizioni impresse;
  1. di dare certezza alle attribuzioni disposte ai beneficiari discendenti nei modi e tempi voluti ovvero impressi nel negozio istitutivo;
  1. di erogare reddito o assegni di mantenimento a termine o vitalizi non solo ai discendenti diretti ma anche ad altri membri della famiglia coinvolti nell’azienda, ove voluto;
  1. di segregare tutto o parte del patrimonio, sia il complesso aziendale che i beni personali e familiari, mobiliari e immobiliari, rendendolo giuridicamente separato, inconfondibile con altri e insensibile alle vicende personali:
  2. del Disponente;
  3. del Trustee;
  4. del Beneficiario;
  5. del Guardiano;

senza che mai tale patrimonio possa rientrare nel regime:

  1. della generica garanzia patrimoniale del debitore ex Art. 2740 del c. c.;
  2. del matrimonio;
  • del diritto successorio;
  1. della massa fallimentare;

delle figura innanzi citate.

Il trust, peraltro, soddisfa anche l’ipotesi nella quale non esista un discendente in linea retta del disponente idoneo alla continuità della gestione dell’impresa  (ipotesi impossibile nei patti di famiglia), ovvero consente, di assicurare la continuità alla propria impresa affidando la gestione ad un parente in linea collaterale o a persona diversa nella ipotesi nella quale l’imprenditore non abbia individuato nel suo alveo soggetti idonei a cui affidare le sorti dell’impresa magari perché i discendenti sono ancora troppo giovani per manifestare attitudini imprenditoriali o non adatti al ruolo.

Il trust consente al disponente tra l’altro di riservare a sé medesimo il potere, come attribuirlo ad altri soggetti, di stabilire,  individuare, aggiungere, escludere, anche in un momento successivo:

beneficiari:

  1. vitalizi;
  2. temporanei;
  3. condizionati e/o finalizzati
  4. finali;
  5. decadenziali;

attribuzioni;

  1. vitalizie;
  2. temporanee;
  3. condizionate;
  4. finalizzate;
  5. momentanee;
  6. finali;

Altra ipotesi, non prevista dalla disciplina codicistica del Patto ma che verosimilmente il Trust liberamente consente, potrebbe essere quella dell’imprenditore legato da rapporto di convivenza nella quale il convivente non sarebbe mai parte del Patto di famiglia, essendo estraneo, si direbbe in diritto.

Allo stesso modo, il Trust sarebbe certamente lo strumento più idoneo allorché l’impresa sia gestita da più rami di una stessa famiglia (ad esempio da più fratelli). La normativa sui patti di famiglia riguarda esclusivamente l’imprenditore singolarmente considerato ovvero titolare unico e mai un’impresa familiare gestita da più fratelli i quali ognuno di loro dovrebbe stipulare un proprio patto di famiglia con i soggetti appartenenti al proprio ramo, cosa che non solo non sarebbe di alcuna utilità per l’azienda ma sarebbe foriera di sventure plurime.

Si provi ad immaginare, solo per un istante, cosa accadrebbe nel caso di una impresa gestita da 5 fratelli alcuni dei quali sposati, altri conviventi, altri ancora separati senza divorzio ed altri con divorzio alcuni dei quali con figli ed altri senza figli, etc..

Ricorrendo utilmente al Trust i 5 fratelli potrebbero istituire  un unico e valido strumento giuridico nel quale disporre l’impresa da loro gestita, potendo, senza preclusioni o limitazioni alcune, indefettibilmente, affidare la gestione a un Trustee sia in forma singola o collegiale e potendo essere, liberamente, nominati a tale funzione fiduciaria:

  1. loro medesimi, in forma collegiale;
  2. uno di loro, in forma singola, che intendesse assumere tale incombenza;
  3. i loro figli o anche collaterali che siano ritenuti i più validi e adeguati a ricevere il testimone, in forma singola o collegiale;
  4. soggetti terzi, avulsi dall’alveo parentale;
  5. Trustee professionali ovvero professionisti che esercitano tale attività;
  6. private trust company ovvero società di capitali appositamente costituite il cui controllo societario è in mano dei disponenti mentre la gestione societaria in mano di soggetti terzi;

In questo modo, i 5 fratelli otterrebbe il vantaggio di mantenere l’unitarietà dell’impresa di famiglia evitando la frammentazione di essa fra più eredi ed assicurando contemporaneamente la protezione dell’impresa nell’ottica di una gestione unitaria e oculata fino al termine finale della durata del trust potendo, questa, essere fissata fino a 90 anni sì da non implicare ulteriori traumi di passaggio generazionale e potendo, ancora, utilmente, saltare alcune generazioni.

Al termine finale, il fondo in trust, nel suo complesso, sarà attribuito ai beneficiari finali, nel caso di specie alle varie stirpi di cui i disponenti fratelli sono i capostipiti secondo le quote e modalità da essi disposti ovvero impressi nel programma negoziale.

Il trust, tra le “enne” fattispecie possibili, può essere anche strutturato in modo tale da escludere utilmente dall’attribuzione finale dei beni di famiglia, ad esempio, i coniugi dei discendenti i quali, come a volte accade in occasione di crisi matrimoniali, con l’irrazionalità del momento potrebbero causare discrasie che si riverberebbero sulle dinamiche aziendali  destabilizzando gli equilibri familiari di per se già facilmente vulnerabili quando in gioco vi sono interessi economici, ma non solo.

Nel Trust, diversamente dal Patto di famiglia nel quale possono essere oggetto di trasferimento generazionale solo l’azienda di famiglia ed eventuali partecipazioni societarie espressione di attività di impresa del titolare, possono essere immessi ovvero segregati anche altri beni del pater familias o tutto l’asse patrimoniale destinato a essere succeduto in modo da soddisfare tutti gli eventuali legittimari, tra cui anche le eventuali partecipazioni societarie avulse dal capitale aziendale detenute quindi a solo scopo di mero investimento o speculativo.

I redditi del trust, per tale intendendo gli utili aziendali, ove distribuiti, possono essere indifferentemente accantonati, se voluto dai disponenti, in un sottofondo del trust dedicato per il verificarsi di un evento o distribuiti ai beneficiari secondo le quote ad essi attribuite o secondo la discrezionalità del Trustee, se in suo potere, in questo caso si parlerà di Trust discrezionale (consigliabile) allorchè Trustee sono i capostipiti.

L’istituto del Trust può, nel caso di specie, consentire la soddisfazione di esigenze e bisogni di vita dei disponenti qualora, ad esempio, i loro redditi risultassero insufficienti, per il mantenimento del normale tenore di vita, potendo disporre una clausola a loro salvaguardia ma anche della loro convivente la quale stabilisca di utilizzare all’uopo di tali esigenze e senza che ne sia richiesto, prioritariamente e indifferentemente il reddito o il fondo del trust.

Il Trust inoltre, utilmente strutturato, consente di disincentivare azioni di riduzione dei legittimari (che siano beneficiari del trust) i quali si ritenessero lesi o pretermessi prevedendo loro una clausola di esclusione da tale posizione in funzione della quale vedrebbero cessata  la rendita loro attribuita e azzerati i loro interessi economici legati al Trust, e (perché no) prevedendo loro anche la restituzione di quanto percepito fino a quella data 10.

Con lo strumento del Trust, come è di tutta evidenza fin qui, si possono ottenere performance e opzioni, meritevoli di tutela giuridica, ove voluto dai disponenti, che il Patto non permette affatto come anche limitare a una minore ingerenza il Trustee allorché il Trust sia detentore di partecipazioni sociali di controllo lasciando di tal guisa che gli amministratori, quando questi ultimi siano essi medesimi o i loro discendenti, gestiscano in piena autonomia.

In questo caso si parlerà di Vista Trust, originario delle Isole Vergini Britanniche (BVI), il quale infatti consente agli amministratori, come nel caso prospettato, che hanno dismesso i diritti proprietari di poter agire con la massima autonomia senza ingerenza alcuna da parte del Trustee il quale come noto è tale in quanto fiduciario del disponente il quale ultimo peraltro lo ha nominato.

Come potrebbe accadere anche una situazione speculare alla precedente nella quale il Disponente vuole una ingerenza massiva del Trustee tale da guidare con saggezza e capacità la gestione dell’impresa avendola affidata ad amministratori giovani discendenti senza una adeguata formazione manageriale temendo anche per il tempo nel quale egli non sarà più in vita;  Per tale ipotesi invero, si possono prevedere termini precisi oltre i quali ad esempio il guardiano o i beneficiari faranno cessare tale massiva ingerenza del Trustee avendo piena consapevolezza che gli amministratori possono continuare in autonomia.

Allo stesso modo anche l’esercizio del diritto di voto può essere lasciato alla discrezionalità del Trustee o subordinato all’assunzione di pareri più o meno vincolanti espressi dal guardiano o dal comitato dei beneficiari.

Il Trust consente, ove voluto dal disponente, di riservare a sé medesimo come attribuire ad altri soggetti quali il Trustee, il Guardiano, il Beneficiario, sia in forma singola o collegiale, poteri e prerogative, atti a modificare, talvolta, se necessario, il programma gestorio, (senza che mai dette modifiche possano costituire danno o detrimento per i beneficiari non potendo, di converso, in nessun modo, costituire mai un vantaggio dei titolari del potere di chi le modifiche le chiede e le consente. Il altri termini il potere di modifica del programma gestorio va inteso ed esercitato allorché tutte le opzioni possibili non hanno condotto ai risultati che altrimenti, incontrovertibilmente, si otterrebbero con la invocata modifica), senza dover ricorrere alla necessaria compresenza e partecipazione di tutti i soggetti interessati risultando così l’istituto del Trust più snello ed efficace rispetto al Patto il quale prevede la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti alla stipula in caso di revisione delle disposizioni originarie.

In base alle considerazioni fin qui esplicitate, che non intendono essere esaustive ma solo esemplificative, la conclusione a cui si giunge necessariamente è che l’istituzione di un Trust per attuare il passaggio generazionale dell’azienda di famiglia è del tutto ammissibile anche dopo l’introduzione dei patti di famiglia, ma soprattutto è consigliabile in tutta sicurezza attesa la sua natura di istituto giuridico dinamico, duttile, possibilista e polimorfico di derivazione anglosassone differentemente del patto di famiglia istituto giuridico di derivazione romanistica statico, rigido, formale, dagli effetti incerti per quel che attiene i diritti successori e legittimari, come tale sconsigliabile.

Per quanto fin qui espresso si consiglia l’imprenditore, occupato del caso, di effettuare preliminarmente, con l’assistenza di  adeguati professionisti esperti della materia come utilmente si conviene quando in gioco vi sono interessi meritevoli di tutela legale, un esame critico dei punti di forza e debolezza dell’istituto che meglio consente il passaggio generazionale, da quelli giuridico-legali a quelli tributario-fiscali, in modo da operare la scelta per una soluzione consapevole, sicura e modellata sulle proprie esigenze concrete.

Vincenzo Crusi