“(No) One Share One Vote: il “nuovo” art. 2351, comma 4, c.c.”.

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Azioni a voto plurimo

One share one vote si poteva e doveva affermare in ambito di diritto di voto perdurante, anche dopo al Riforma del 2003, del divieto di emissione di azioni con voto plurimo.

Nel contesto normativo è subentrato il d.l. 24 giugno 2014, n. 91 (convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 116) che ha introdotto l’art. 127 quinquies nel TUIF (rubricato “Maggiorazione del voto”) in forza del quale gli statuti delle società con azioni quotate possono prevedere che sia attribuito voto maggiorato, fino a un massimo di due voti, per ciascuna azione appartenuta al medesimo soggetto per un periodo continuativo non inferiore a ventiquattro mesi a decorrere dalla data di iscrizione in un apposito elenco.

La norma stabilisce, poi, che le azioni cui si applica il beneficio della maggiorazione non costituiscono una categoria speciale di azioni ai sensi dell’art. 2348 c.c. e che la delibera di modificazione dello statuto con cui si prevede detta maggiorazione non attribuisce il diritto di recesso ex art. 2437 c.c.

Successivamente, in sede di conversione di detto decreto, la relativa legge di conversione ha previsto anche per le società non quotate la possibilità di creare azioni con diritto di voto plurimo anche per particolari argomenti o subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative; ciascuna azione a voto plurimo può avere fino a un massimo di tre voti (così l’art. 2351, comma 4, c.c. come sostituto dall’art. 20, comma 8 bis, d.l. n. 91/2014).

La modifica legislativa ha, da subito, attratto l’attenzione degli operatori e la stessa esalta il ruolo dell’autonomia statutaria; per amore di verità storica, tuttavia, occorre ricordare che, contrariamente a quanto asserito da commentatori di prima penna, non si tratta di una novità assoluta nel nostro ordinamento visto che già il Codice del Commercio del 1882 prevedeva la possibilità di emissione di azioni a voto plurimo con un meccanismo di voto che può essere paragonato al c.d. voto a scalare (artt. 157 e 164 cod. comm.).

Il Codice del 1942, seguito dalla Riforma del 2003, hanno imposto il divieto di emissione di tale tipo di azioni circoscrivendo la limitazione del diritto di voto alla metà del capitale sociale.

Con l’introduzione della “nuova” figura, che riprende quella delle loyalty shares francesi o della dual class  di elaborazione statunitense (si pensi a Google, Linkedin, Facebook), si passa dal meccanismo 1 azione / 1 voto a quello 1 azione / 1 – 3 voti.

L’interesse della nuova figura è dato dalla possibilità, per i soci, di strutturare le azioni a voto plurimo secondo diverse tipologie.

Oltre alla figura delle azioni a voto plurimo per tutti i tipi di decisioni, è possibile modulare tale tipologia di azione anche in diversa maniera a seconda delle caratteristiche della società, delle sue necessità e dei rapporti di forza dei suoi soci.

La Circolare Assonime 7 aprile 2015, n. 10 ha ritenuto che le società non quotate possono emettere azioni a voto plurimo condizionando il voto a particolari argomenti oppure subordinandone l’esercizio al verificarsi di condizioni non meramente potestative.

Le azioni a voto plurimo per singoli argomenti potrebbero essere riservate, ad esempio, al voto in assemblea per la nomina delle cariche sociali o per la modifica dello statuto o per l’approvazione del bilancio.

Si potrebbe addirittura ipotizzare azioni a voto plurimo differenziato a seconda degli argomenti: voto doppio per un tipo di decisione (ad esempio, nomina degli amministratori) e voto triplo per un altro tipo di decisioni (approvazione modifica dello statuto), oppure costituendo più categorie di azioni con voti plurimi attribuiti su diverse materie (ad esempio, categoria di azioni A con diritto di  voto doppio sull’elezione degli amministratori e categoria di azioni B con diritto di voto doppio sull’elezione dei sindaci).

Le azioni a voto plurimo potrebbe essere assoggettate a condizioni sospensive o risolutive: nel primo caso, al verificarsi dell’evento l’azione posseduta attribuisce il voto plurimo; nel secondo caso, detto voto viene meno.

Le condizioni del primo tipo, sospensive, possono essere legate al possesso del tempo della partecipazione azionaria o, ad esempio, al mancato raggiungimento di determinati obiettivi.

Le condizioni risolutive, invece, possono riguardare il trasferimento dell’azione a voto plurimo o nel caso di cessazione del rapporto di lavoro se le azioni a voto plurimo erano state concesse soggetti legati alla società da rapporto di lavoro.

Limite è quello, ovviamente, delle condizioni meramente potestative.

In generale può dirsi che le azioni a voto plurimo costituiscono una categoria speciale di azioni.

A ben vedere le azioni a voto plurimo possono combinarsi con le azioni a voto limitato già previste nella Riforma del 2003. L’art. 2351, comma 2, c.c. secondo cui il capitale complessivo con voto limitato non può eccedere la metà del capitale complessivo e la limitazione può essere anche tale da escludere il voto assembleare.

La combinazione delle due categorie di azioni potrebbe consentire il controllo societario anche a chi detiene una partecipazione bassa di capitale azionario. Ad esempio, la società X S.p.A. ha emesso 100 azioni, 50 azioni senza diritto di voto appartenenti a Tizio, 35 azioni a Caio con voto pieno (1 azione/1 voto), 15 azioni a Sempronio con voto triplo. In questo modo, su 80 voti Sempronio avrà 45 voti che rappresenta il 56,25%.

Le azioni a voto plurimo possono essere emesse in sede di costituzione della società o nel corso della vita della società stessa. In questa seconda ipotesi al socio contrario spetterà il diritto di recesso ex art. 2437, comma 1, lett. g), c.c. (anche se non espressamente previsto), pena la violazione del principio di parità di trattamento. Occorrerà, inoltre, l’autorizzazione ex art. 2376 c.c. nel caso preesistano categorie di azioni che potrebbero subire un peggioramento dall’emissione delle nuove azioni a voto plurimo.

In sede di votazione, come suggerito dalla Massima 144 del Consiglio Notarile di Milano, ai fini del calcolo dei quorum richiesti dalla legge e dallo statuto per la costituzione dell’assemblea ordinaria e straordinaria e per l’assunzione delle relative deliberazioni, si computa il numero dei voti spettanti alle azioni e non il numero delle azioni o la parte di capitale da esse rappresentata, salva una diversa disposizione statutaria e, se il diritto di voto è suscettibile di variazione in virtù di situazioni soggettive dell’azionista, sarà compito del Presidente dell’Assemblea fissare “caso per caso” la soglia numerica dei quorum necessari.

Da quanto sopra si possono trarre alcune brevi considerazioni.

Considerando dapprima i potenziali svantaggi si potrebbe, in primo luogo, obiettare in merito alla criticità e ai possibili svantaggi conseguenti all’introduzione delle azioni a voto plurimo all’interno della società. ad esempio, la deviazione dal principio one share – one vote potrebbe indurre l’azionista di controllo ad essere  poco rispettoso dei rapporti tra azionisti di maggioranza e azionisti di minoranza.

Inoltre, egli sarebbe facilitato a perseguire interessi privati. E’, infatti, evidente che il socio che ha meno investito nella società e che, comunque, detiene un peso rilevante potrebbe essere più facilmente indotto ad assumere comportamenti opportunistici con buona pace per gli altri soci.

Senza contare, poi, che una situazione simile riduce i costi relativi al possesso di una partecipazione sociale con minor contendibilità della società.

A ben vedere, però, la nuova figura presenta più vantaggi che svantaggi. Un esame più approfondito esalta le enormi potenzialità della figura in esame, ad esempio in tema di possibilità di nominare l’organo amministrativo o di controllo oppure, ipotesi assai interessante, in tema di passaggio generazionale d’impresa attribuendo ad uno o più dei futuri eredi azioni a voto plurimo per determinate decisioni senza, peraltro, avere il problema di eventuali lesioni di legittima.

Ma l’aspetto forse più interessante è legato al fatto che tale tipo di azioni mantiene la propria caratteristica se cedute e, soprattutto, mantiene le proprie caratteristiche successivamente alla quotazione con conseguente maggiore libertà, da parte del socio di controllo, nel definire il nuovo assetto proprietario in relazione alla raccolta di risorse sul mercato e riduzione dei costi di quotazione.

Avv. Luca Renna